Il danese del VC Mendrisio parteciperà ad alcune gare già quest’anno, il suo sogno é di vincere il Giro d’Italia
Soltanto un corridore, Asbjorn Hellemose, e soltanto una squadra, il Velo Club Mendrisio Immoprogramm, hanno realmente provato a mettere in difficoltà Juan Ayuso durante i dieci giorni del Giro d’Italia Under 23. Specialmente nell’ottava tappa, la Aprica-Andalo, per qualche chilometro lo spagnolo della Colpack ha tremato. Tra i tanti attaccanti di giornata c’erano anche Hellemose e due compagni di squadra, Santaromita e Gaffuri. Il loro vantaggio ha sfiorato i quattro minuti, poi via via si è sgretolato. Nel giorno della vittoria di Ciuccarelli, Hellemose chiudeva ottavo guadagnando meno di un minuto su Ayuso: non molto, visto che alla partenza erano più di cinque.
Ma uno come Asbjorn Hellemose non può temere d’andare a gambe all’aria in una corsa di ciclismo. Nato in Danimarca il 15 gennaio del 1999, è arrivato a Como vent’anni più tardi senza sapere una parola d’italiano ma avendo ben presente quello che voleva diventare: un ciclista professionista. «Che, tra l’altro, sogno di vincere il Giro d’Italia. Per me la rosa è la maglia più bella. E poi le vostre salite, i vostri paesaggi, i vostri tifosi, le vostre ricette. Mangiare bene è una delle cose che mi sta più a cuore, anche se essendo un corridore devo stare attento».
Hellemose simpatizza per le salite italiane perché, molto banalmente, è uno scalatore. Atipico, a dire la verità: infatti è alto 1,90 e pesa poco meno di 70 chili. Ha le gambe lunghe e una presenza importante nonostante la leggerezza: il destino gli ha voluto bene. «Le ascese che preferisco sono quelle che mi tengono impegnato per almeno mezz’ora. Preferibilmente con pendenze costanti. Non essendo scattante né veloce, gli strappi li eviterei volentieri. Ogni volta che la strada sale mi rendo conto della stessa cosa: all’inizio io soffro e gli altri pedalano bene, dopo qualche chilometro io inizio ad ingranare e gli altri a staccarsi. Per togliersi qualche soddisfazione tra i professionisti dovrò essere più costante, ma vedere che anche gli altri fanno molta fatica è rincuorante».
Sostanzialmente della massima categoria Hellemose fa già parte. Ha firmato un biennale con la Trek-Segafredo e, compatibilmente con gli appuntamenti più importanti del calendario dilettantistico, debutterà già nella seconda parte della stagione. «Prima del Giro ero a Livigno, si sono fatti avanti in maniera concreta e non ho saputo dire di no. Io ragiono molto, come si dice?, di stomaco. Se sento certe sensazioni, mi butto. Ho parlato con Guercilena e Andersen, il diesse danese, e non ho avuto dubbi. Però prima c’è il Tour de l’Avenir, l’obiettivo più importante dell’anno insieme al Giro. Voglio concludere bene la mia avventura tra i dilettanti, fosse soltanto per una questione di rispetto nei confronti di Dario Nicoletti e del Mendrisio: a loro devo tantissimo».
Era il 2019 quando Hellemose arrivò a Como, un posto che adesso il danese scambia quasi per casa. Non gli manca niente: né le amicizie, né i compagni di squadra né il terreno per allenarsi, che sia pianura o salita. E giusto al di là del confine svizzero, anche una fidanzata. Che non corre e di ciclismo sa poco o nulla. «Fortunatamente», aggiunge Hellemose, «non sopporterei di sentir sempre parlare di gare, allenamenti, ritiri e biciclette». Da allora, Dario Nicoletti non gli ha mai fatto mancare il proprio supporto e la propria vicinanza. Tant’è che Hellemose avrebbe potuto cambiare squadra e andare via dall’Italia già lo scorso anno, ma non l’ha fatto. Viaggiare e girare il mondo è un’altra delle sue passioni, è vero, ma tutto sommato è bello anche poter dire d’avere una casa. «Vorrei continuare a vivere da queste parti anche quando sarò un professionista», puntualizza lui.
Ma più di qualsiasi altra cosa – tranne il ciclismo, si capisce – ad Asbjorn Hellemose piace andare all’avventura. Appassionatosi a questo sport tifando Ivan Basso, all’epoca capitano della danese Csc, ha capito in fretta che restando in Danimarca le sue possibilità di fare carriera nel mondo del ciclismo sarebbero state prossime allo zero. E così, proprio come fece un altro dei suoi riferimenti, Rolf Sorensen, si è trasferito in un paese che potesse insegnargli il mestiere. «Per gli standard danesi, io sono perfino troppo espansivo. Per questo, forse, mi trovo così bene in Italia. E poi quaggiù c’è molto sole, a me la luce piace, in Danimarca invece piove spesso e volentieri. E tira vento, specialmente quando c’è una corsa di ciclismo, mai capito perché. E sempre in faccia, mai alle spalle, tanto per non farsi mancare niente…».
Fonte Bicisport